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Ialuronidasi: cosa sono e come agiscono

ialuronidasi

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Durata di lettura: 10 minuti 

In questo articolo spiegheremo cosa sono le ialuronidasi, a cosa servono e loro attuali e potenziali applicazioni cliniche.

Duran-Reynals e Karl Meyer, i padri delle ricerche sulle ialuronidasi

Inserendo il termine hyaluronidase nel database dell’US-National Institute of Health’s (PubMed.gov) appaiono oltre 10.000 pubblicazioni scientifiche. La prima risale al 1942, quando Duran-Reynals, pubblicò la prima relazione completa sull’interazione tra la ialuronidasi e l’acido ialuronico, intitolata “Permeabilità dei tessuti e fattori di diffusione nelle infezioni”: l’alta concentrazione di ialuronidasi nell’acrosoma e nella membrana degli spermatozoi è correlata alla scoperta dell’attività della ialuronidasi come “fattore di diffusione”, attraverso l’analisi di estratti testicolari condotte da da Duran-Reynals.

 

Nel 1947 fu la volta di Karl Meyer che pubblicò un altro articolo fondamentale: “Il significato biologico dell’acido ialuronico e della ialuronidasi”. Meyer identificò la ialuronidasi negli autolisati di pneumococchi, nello Staphyloccoccus aureus e in altri batteri, nonché nei veleni di api e serpenti, così come nel veleno e nello sperma di altre specie animali. Duran-Reynals e Meyer descrissero con precisione la funzione e le interazioni tra ialuronidasi e acido ialuronico. I loro studi rappresentano ancora oggi le basi su cui si fondano le ricerche scientifiche più recenti.

 

Cosa sono le ialuronidasi?

Le ialuronidasi sono degli enzimi che degradano l’acido ialuronico (HA), polimero essenziale della nostra matrice extracellulare. Questi enzimi sono presenti, oltre che nel corpo umano, anche  in molte altre classi naturali, come insetti, serpenti, pesci e mammiferi.

Le ialuronidasi possono essere classificate in tre gruppi principali:

– (i) ialuronoglucosaminidasi o “ialuronidasi di tipo testicolare” (ialuronato 4-glicanoidrolasi, EC 3.2.1.35);

– (ii) ialuronato glicanoidrolasi o “ialuronidasi di tipo sanguisuga” (EC 3. 2.1.36);

– (iii) ialuronato liasi o “ialuronidasi di tipo batterico” (EC 4.2.99.1) (11;6).

Partendo dalle loro proprietà enzimatiche, le ialuronidasi umane sono tutte endoglucosaminidasi che scindono i legami β-N-acetil-esosamina-glicosidici dell’acido ialuronico. In base alla loro attività dipendente dal pH, le ialuronidasi acide attive a un pH di 3-4 sono HYAL1, HYAL2, HYAL3 e HYAL4. PH20 è considerata una ialuronidasi neutra essendo attiva a pH 5-8.

Le ialuronidasi umane (PH20-HYAL1-HYAL2)

Nell’essere umano sono state individuate sei diverse ialuronidasi, PH20, HYAL1-4 e HYAL-P1.

La PH-20 (molecola di adesione spermatica 1, SPAM 1) esercita tra tutte l’attività biologica più forte. E’ coinvolta nel processo di fecondazione e si trova sulla testa e sull’acrosoma degli spermatozoi umani. PH20 può degradare la matrice ricca di acido ialuronico del cumulo ooforo e permettere l’adesione e la penetrazione dello spermatozoo.

La ialuronidasi plasmatica umana (HYAL1), invece, è ubiquitaria nei tessuti somatici ed è la principale ialuronidasi per il catabolismo dell’acido ialuronico nella matrice extracellulare. Inoltre, è associata alla morbilità del tumore, ai disordini della memoria lisosomiale e alla guarigione delle ferite.

Anche la ialuronidasi lisosomiale (HYAL2) è ampiamente espressa e si trova nei lisosomi o sulla membrana cellulare. HYAL2, inoltre, è stata associata alla biologia dei tumori e all’angiogenesi.


Le formulazioni in commercio di ialuronidasi

Le formulazioni commerciali di ialuronidasi includono ialuronidasi da testicoli bovini (BTH), testicoli ovini (OTH) e anche ialuronidasi umana ricombinante (rHuPH20). Le ialuronidasi purificate che sono state ottenute da altre specie di mammiferi mostrano meccanismi d’azione simili a quelli della ialuronidasi umana.

   

La ialuronidasi bovina

La ialuronidasi bovina (per esempio Hylase Dessau®, Riemser Pharma GmbH, Greifswald, Germania) è stata utilizzata per molti anni in diversi campi medici, tra cui l’oculistica e la dermatoschirurgia, nonché la medicina estetica. Consiste in un tetramero con quattro subunità uguali con una massa molecolare di 60 kDa.

La ialuronidasi ovina

Rispetto alla ialuronidasi bovina, la ialuronidasi ovina (es. Vitrase®, Bausch&Lomb, Rochester, NY, USA) ha una purezza maggiore con una massa molecolare di circa 55 kDa ed è usata per indicazioni comparabili.

Poiché le ialuronidasi di derivazione animale possono essere contaminate da immunoglobuline e proteasi, possono portare a reazioni di ipersensibilità o l’anafilassi.

La ialuronidasi a IgE naturale 

Nel 2005 una forma solubile altamente purificata dell’IgE naturale di ialuronidasi umana è stato approvato dalla US Food and Drug Administration (FDA). Questo enzima, rHuPH20 (ad esempio ENHANZE®, Halozyme Therapeutics, Inc., San Diego, CA, USA), esercita un’attività specifica più elevata rispetto alle ialuronidasi di derivazione animale disponibili sul mercato.

L’attività enzimatica è correlata alla concentrazione di proteina attiva della ialuronidasi (U) per proteina totale (mg), ed è di circa 500-700 U/mg per la ialuronidasi non trattata di derivazione animale, circa 18.000 U/mg per la ialuronidasi di derivazione animale preparata farmaceuticamente e circa 120.000 U/mg per rHuPH20.

Successivamente rHuPH20 viene purificata dalle impurità non ialuronidasi e dai potenziali patogeni durante le fasi di produzione. La purezza di quasi il 99% è associata a un rischio significativamente inferiore di reazioni immunogeniche e garantisce un livello di sicurezza nettamente superiore.

Con emivita inferiore a 30 minuti, rHuPH20 ha un’azione breve che lo rende difficile da rilevare nel plasma dopo la somministrazione sottocutanea. rHuPH20 viene utilizzato in combinazione con le immunoglobuline per compensare le sindromi da carenza o per la terapia di reidratazione sottocutanea. È molto probabile che in futuro si dimostrino ulteriori applicazioni, in relazione all’uso di anticorpi e proteine terapeutiche, nelle malattie infiammatorie croniche, infettive e oncologiche.

A cosa serve la ialuronidasi: applicazioni cliniche

L’acido ialuronico ad alto peso molecolare di >1000 kDa della matrice extracellulare ha valenza omeostatica.                                        La sua degradazione in frammenti più piccoli da parte della ialuronidasi media un’ampia gamma di effetti biologici indiretti.

Infatti i prodotti di degradazione possono essere considerati come segnali di allarme cellulare e sono stati associati a diversi effetti, tra cui un’attività pro e antitumorale. E’ stata infatti dimostrata l’azione antinfiammatoria, anti proliferativa e anti angiogenica della ialuronidasi anche nei processi di guarigione delle ferite

I suoi enzimi e i suoi frammenti sono stati associati a vari processi fisiologici e patologici come le caratteristiche meccaniche dei tessuti, l’idratazione e l’invecchiamento, la fecondazione e l’embriogenesi, la proliferazione e la biologia dei tumori.

Di conseguenza, le diverse modalità d’azione della ialuronidasi nell’uso terapeutico risultano molto interessanti e si potrebbero categorizzare come segue:

degradazione mirata dell’acido ialuronico al fine di manipolare le caratteristiche strutturali del tessuto;

eliminazione dell’acido ialuronico al fine di alterare le proprietà di diffusione del tessuto;

riduzione mirata delle lunghezze della catena dell’acido ialuronico al fine di sfruttare gli effetti metabolici.

Attualmente le ialuronidasi (testicolari bovine, ovine e sintetiche) sono applicate clinicamente come:

           Coadiuvante per aumentare la biodisponibilità dei farmaci;

●       Gestione della terapia degli travasi;

● Gestione delle complicanze da iniezioni di filler di acido     ialuronico.

Coadiuvante per aumentare la biodisponibilità dei farmaci

La ialuronidasi come coadiuvante degli anestetici locali

 

L’efficacia dei farmaci applicati per via intracutanea è spesso limitata a causa della biodisponibilità specificata del principio attivo all’interno del rispettivo segmento di destinazione. Tuttavia, le ialuronidasi possono catalizzare la degradazione dello ialuronano nella matrice extracellulare, permettendo così una maggiore permeabilità dei tessuti e aumentando la biodisponibilità dei farmaci iniettati.

Questo principio è stato applicato per la prima volta in dermochirurgia nel 1951, quando Thorpe dimostrò che le ialuronidasi adiuvanti promuovevano la diffusione di un anestetico locale. La co-applicazione sottocutanea di ialuronidasi come adiuvante agli anestetici locali per infiltrazione ha dimostrato di aumentare significativamente l’efficacia dell’anestesia locale soprattutto nei primi minuti dopo l’iniezione e ha migliorato la sicurezza della procedura chirurgica.

Il tasso di diffusione è proporzionale alla quantità di ialuronidasi somministrata. Infatti, nello studio scientifico di Wohlrab nel 2012, i risultati mostrarono che la co-applicazione della ialuronidasi con gli anestetici locali portava a un’area anestetizzata più grande di circa il 50% rispetto ai soli anestetici locali e che questo effetto si verificava rapidamente entro i primi 5-15 minuti.

L’uso della ialuronidasi come coadiuvante degli anestetici locali è stato applicato in oftalmologia, chirurgia delle unghie, traumatologia, odontoiatria e in altre branche della medicina.

La ialuronidasi  come coadiuvante per altri farmaci 

L’applicazione della ialuronidasi umana ricombinante (rHuPH20) ha recentemente acquisito importanza per l’applicazione sottocutanea di insulina, volume, morfina, antibiotici, anticorpi monoclonali terapeutici, immunoglobuline e altre indicazioni.

INSULINA – Nel 2009 Vaughn e i colleghi riferirono per la prima volta che la co-somministrazione di rHuPH20 accelerava significativamente la farmacocinetica dell’insulina iniettata per via sottocutanea, attraverso un aumento delle concentrazioni di picco dell’insulina nel siero.

Considerando gli studi effettuati da Vaughn e da altri, si può affermare che la ialuroniasi accelera l’assorbimento dell’insulina umana applicata per via sottocutanea, permettendo in questo modo un controllo dell’effetto glicodinamico simile agli analoghi dell’insulina ad azione rapida e senza comportare un aumento del rischio di ipoglicemia.

IMMUNOGLOBULINE UMANE – Nel 2012 Wassermann e i colleghi dimostrarono per la prima volta il successo della somministrazione di immunoglobulina sottocutanea facilitata da rHuPH20 (IGSC) in pazienti con immunodeficienza primaria. Per quanto riguarda l’efficacia, la sicurezza e la farmacocinetica, l’IGSC facilitata da rHuPH20 era pari al gold standard, l’immunoglobulina intravenosa (IVIG). In linea con questi risultati, più recentemente Speth e i colleghi hanno utilizzato IGSC ad alte dosi facilitate da ialuronidasi in cinque pazienti con dermatomiosite giovanile refrattaria agli steroidi. L’applicazione ha portato livelli sferici di picco simili a quelli delle IVIG, con conseguente malattia inattiva dal punto di vista clinico, senza alcun effetto avverso locale o sistemico rilevante.

ANTICORPI MONOCLONALI – Gli anticorpi monoclonali sono tipicamente somministrati per infusione endovenosa lenta e la terapia è associata a lunghi tempi di infusione. Essendo le applicazioni endovenose sono associate al rischio di stravaso e altre complicazioni legate all’infusione come infezioni o eventi tromboembolici, si è concluso che la somministrazione sottocutanea di anticorpi monoclonali formulati con rHuP20 può consentire una nuova terapia farmacologica efficace, ben tollerata, economica e conveniente

ANTIBLASTICI – Infine, oggi si valuta la combinazione di rHuPH20  con emcitabina e nab-paclitaxel (PEGPH20)nella terapia oncologica del cancro al pancreas avanzato, ad alto contenuto di acido ialuronico. Il tumore pancreatico ad alto contenuto di acido ialuronico è caratterizzato da una marcata produzione di ialuronano da parte del tumore stesso, che si traduce in una modulazione dell’ambiente tumorale e in un aumento della pressione tumorale interstiziale, limitando alla fine la perifericità del tessuto tumorale. PEGPH20 può abbattere questo carico per ristabilire la perfusione tumorale e consentire l’accumulo di chemioterapici al fine di aumentare l’effetto antineoplastico.

Gestione della terapia degli stravasi antiblastici

Lo stravaso è in sostanza la perdita accidentale di fluidi o farmaci endovenosi nello spazio sottocutaneo, che può causare danni significativi ai tessuti. L’incidenza stimata dello stravaso può variare dallo 0,001% al 7%. L’entità del danno potenziale dipende dalle proprietà, dalla concentrazione e dalla quantità della sostanza infusa. Un grave danno da stravaso è indotto più frequentemente da alcuni agenti chemioterapici e cioè sostanze vasoattive che hanno la capacità di indurre ischemia, elettroliti concentrati, mezzi di contrasto iodati e altre soluzioni iperosmolari. La gravità dello travaso è spesso sottostimata procurando più spesso sintomi minori e transitori, come dolore, gonfiore, eritema localizzato o iperpigmentazione.

Tuttavia, nei casi più gravi possono verificarsi danni estesi ai tessuti, ulcerazioni, necrosi e sindrome compartimentale, che potenzialmente richiedono lo sbrigliamento chirurgico o addirittura l’amputazione.

Gli interventi specifici dipendono dal tipo di farmaco infuso, nonché dalla posizione anatomica e dall’entità dello stravaso.

Stravasi da Antiblastici

L’applicazione della ialuronidasi  è stata suggerita per diluire le concentrazioni tossiche locali, in particolare di farmaci paclitaxel. Per la vinorelbina, la vinblastina o la vincristina, l’iniezione locale di 250 UI di ialuronidasi ha portato al sollievo dal dolore nei diversi giorni dopo l’evento di stravaso.

Mentre Bertelli e i colleghi dimostrarono, in uno studio fatto su 5 pazienti con stravaso di paclitaxel, che l’infiltrazione di ialuronidasi era efficace e portava alla completa remissione dei sintomi locali in tutti i casi, Dubois e i suoi colleghi trovarono che, su quattro pazienti, in due la ialuronidasi ritardava la guarigione rispetto alla sola applicazione di compresse fredde negli altri due pazienti. Oltre allo stravaso di agenti antineoplastici, lo stravaso di sostanze diagnostiche è un evento relativamente frequente durante le procedure radiografiche. La capacità dei mezzi di controllo iodati di produrre gravi lesioni da stravaso dipende in gran parte dal volume e dall’altezza dell’osmolalitá. In conclusione, gli studi e l’esperienza clinica hanno dimostrato che i mezzi di contrasto con osmolalità compresa tra 1025 e 1420 mOsm/kg possono portare a rischio maggiore di gravi lesioni da stravaso.

Stravasi da mezzo di contrasto radiologici

Oggi, l’uso di mezzi di contrasto con osmolalità inferiore ha ampiamente ridotto il rischio di complicazioni. Tuttavia, in particolare le iniezioni rapide in bolo di mezzi di contrasto iodati sono associate a manifestazioni cliniche più gravi, come vesciche e ulcerazioni. Piccoli volumi di stravaso di mezzi di contrasto possono invece causare complicazioni minori come dolore all’iniezione dell’agente, gonfiore, edema ed eritema. Lo stravaso di sostanze diagnostiche è generalmente gestito con successo in modo conservativo con impacchi caldi o freddi e la sola elevazione, nei casi più gravi invece è raccomandata la consultazione chirurgica.

Tra i casi in cui è stato rilevato l’uso con successo ne evidenziamo due. Il primo è quello pubblicato da Rowlett, nel quale è stata riportata la completa risoluzione clinica dopo la somministrazione subcutanea di ialuronidasi umana ricombinante in seguito allo stravaso di 100 ml di mezzo di contrasto iodato nell’arto superiore. In questo caso, 750 UI di ialuronidasi sono state iniettate in un cerchio intorno al sito di stravaso, ottenendo un netto miglioramento dopo 4 ore. Il secondo è quello di Fox e i colleghi i quali hanno descritto, in un case report, una buona risposta clinica dopo la somministrazione di ialuronidasi intradermica in seguito allo stravaso di amiodarone con una diminuzione dell’espansione dell’eritema e del calore, nonché una diminuzione del dolore.

Gestione delle complicanze da iniezioni di filler di acido ialuronico 

Per aumentare e ridurre i segni dell’invecchiamento della pelle e del viso, negli ultimi decenni sono state applicate varie sostanze, tra cui grasso autologo, collagene, idrossilapatite di calcio e soprattutto acido ialuronico. Oggi l’iniezione di gel contenenti acido ialuronico (filler dermici di HA) è considerata il punto di riferimento per recontouring del viso, l’aumento del volume dei tessuti e l’idratazione profonda della pelle.

Per quanto riguarda la struttura chimica, la maggior parte dei moderni HA-filler sono modificati chimicamente utilizzando molecole di cross-linker, come l’etere 1, 4-butanediolo diglicidico (BDDE), per creare strutture tridimensionali a rete, con legami intermolecolari reticolati e ponti per migliorare la forza e la longevità del gel.

Attraverso la reticolazione, l’emivita dei riempitivi HA applicati nella pelle, può arrivare fino a più di un 1 anno, ottenendo una comprovata ed efficace degradabilità di HA-filler.

Nonostante la disponibilità della ialuronidasi, si discute se tutti i filler HA possano essere degradati dall’enzima in modo efficace. Una differenza o addirittura una resistenza alla “degradabilità” potrebbe essere attribuita alla concentrazione di HA nel filler, al grado di cross linking, alla viscosità o alla durezza del gel, alle sue proprietà coesive e infine alla durata del filler iniettato.

Diversi studi hanno dimostrato la sistematica degradabilità degli HA-filler mediante ialuronidasi.

Jones (2010) condusse un confronto in vitro di tre filler a base di HA con diversi contenuti di ialuronide trattati con ialuronidasi ovina, analizzando i prodotti di degradazione e utilizzando la cromatografia a esclusione di dimensione, accoppiata a un rivelatore a diffusione di luce multiangolare.

Entrambe le ricerche hanno dimostrato che i riempitivi HA altamente reticolati hanno una più forte resistenza alla degradazione enzimatica rispetto ai riempitivi HA bifasici.

Menzinger (2016) riportò che la ialuronidasi testicolare ovina degradava efficacemente e in modo dose-dipendente l’EMV. Più recentemente, Buhren e Gerber hanno pubblicato i risultati di un’analisi in vitro altamente standardizzata della degradabilità di RES/EMV, BEL e JUV da parte della ialuronidasi bovina. Tutti questi studi appaiono fra loro significativamente eterogenei per quanto riguarda i riempitivi HA analizzati, le ialuronidasi applicate, i protocolli di trattamento, i setup sperimentali e le modalità di analisi.

Visti i risultati degli studi e le conclusioni sulla buona o cattiva degradabilità di alcuni HA-filler da parte delle diverse ialuronidasi, e le incertezze tra i medici che iniettano HA-fillers, le sperimentazioni future dovrebbero raggiungere lo stesso livello di standardizzazione nella degradabilità dei diversi prodotti realizzati.

Se le procedure di iniezioni di HA filler non sono eseguite correttamente, si possono avere varie complicanze: dolore, edema, ematomi, correzioni non estetiche, effetto “Tyndall” (uno scolorimento bluastro causato da un’iniezione troppo superficiale di HA), granulomi, infezioni e infine occlusioni vascolari.

Le problematiche di tipo vascolare sono le più gravi e possono generare necrosi dei tessuti perché le arterie occluse sono responsabili dell’apporto di sangue. Le aree ad alto rischio, cioè con maggiori probabilità di complicazioni vascolari in seguito all’iniezione di filler, riguardano la zona glabellare (arteria sopratrocleare), la regione nasociliare (arteria nasale dorsale), la regione temporale (arterie temporali), la piega nasolabiale superiore e il solco lacrimale (arteria angolare) e il solco nasolabiale (arteria facciale).  In caso di occlusione vascolare da erronea iniezione di acido ialuronico, l’unico antidoto per sciogliere il gel e ripristinare il flusso sanguigno è la ialuronidasi. L’iniezione di ialuronidasi non solo corregge le ipercorrezioni antiestetiche, ma inverte l’occlusione vascolare accidentale prevenendo la necrosi o la cecità.

 

Il futuro

A partire dagli anni ’40 la ialuroniasi si è evoluta da ‘fattore di diffusione’ per gli anestetici locali a coadiuvante generale per la biodisponibilità di un’ampia varietà di farmaci.

Se lanciamo uno sguardo alla considerevole mole di ricerche scientifiche pubblicate ogni anno sulla “ialuronidasi”, è facile comprendere quanta importanza abbia oggi questo enzima dal punto di vista clinico. E con molta probabilità, in futuro, si arriverà a nuove applicazioni anche in altri campi della medicina.

 

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